Questo post è il seguito di un racconto sull’autoritratto che ho intrapreso da qualche settimana, spiegandoti poi qui cosa lo differenzi dal suo apparente “gemello”, ovvero l’autoscatto (selfie). Se ti sei persa i miei scritti precedenti, puoi rileggerli qui e qui.
#fotografiastostantivofemminile
A concedere l’ispirazione, a chi nel mondo antico ne faceva umile richiesta, erano le Muse: con il loro intervento, elargivano agli artisti lo stimolo divino per la creazione delle loro opere. E così io, in ugual modo, per continuare a parlarti del tema dell’autoritratto, mi appello alle “mie” Muse, fotografe del passato e del presente a cui sono molto legata. Sono artiste che ti farò conoscere nelle prossime settimane tramite il mio instagram e su cui lavoreremo insieme per padroneggiare con più consapevolezza la tecnica dell’autoritratto e della fotografia in generale.
L’IMITAZIONE DELLE MAESTRE
Lavorare su una fotografia, partendo dalla ripetizione di un modello, ha un’intrinseca valenza riparatoria e aiuta a ri-costituire la nostra identità. Se ci pensi, questo tipo di assimilazione è innata e tutte noi l’abbiamo sperimentata fin dai nostri primi giorni di vita: non potendo, attraverso indicazioni verbali, apprendere nuove abilità, abbiamo imitato i gesti altrui, per puro istinto.
Con l’imitazione ogni bambino entra in sorta di modalità di elaborazione psichica, che gli permette di iniziare il suo percorso di esplorazione del mondo.
Imitare gli consente di comunicare con l’altro e così, paradossalmente, anche distinguersi da quest’ultimo.
Allo stesso modo, per accedere al “segreto” dell’imitazione, che non è copia ma riappropriazione, possiamo farci guidare dai Grandi Maestri.
Anzi, in questo caso, dalle Grandi Maestre del mondo della fotografia.
Questo tipo di confronto è una tappa importante per ogni artista che voglia affrontare il mondo con i propri occhi, mediandolo attraverso la propria soggettività ed esperienza.
Tornando all’ambito fotografico, imitare e dunque ri-elaborare, è un modo per impadronirsi dell’oggetto.
Un oggetto, come quello dell’autoritratto, che, se sconosciuto, può creare turbamento perché custodisce in sé qualcosa che sfugge e che, quindi, resta ignoto.
Se hai dubbi sulla differenza tra imitare e ri-elaborare, ti consiglio di leggere questo mio post, dove ti racconto come “ispirarsi senza perdere la propria unicità”.
Apprendere le tecniche fotografiche dalle Grandi Maestre consente di vedere il mondo con i loro occhi, andando oltre le nostre abitudini e zone confort, affinando la capacita di introspezione, con il risultato di coltivare un rapporto salutare anche con l’ombra del nostro interiore.
LA MUSA da cui è nata #fotografiasostantivofemminile
Una delle mie “muse” personali è Francesca Woodman, fotografa statunitense, che ha utilizzato l’autoritratto per affrontare molti temi connessi all’adolescenza, alla ricerca dell’identità e non solo. La prima volta che ho visto una sua foto è stata una intuizione improvvisa: al tempo del liceo, frequentavo una scuola d’arte e sono rimasta folgorata dalle modalità con cui l’autrice utilizzava il mezzo fotografico. In lei, il nudo, che non è mai interamente svelato, era chiaramente un processo introspettivo.
Se fotografarmi per me era (ed è ancora) difficile, quelle immagini mi colpivano direttamente perché mi portavano ad intraprendere un cammino di scoperta, riuscendo a dare un nome ad emozioni che prima mi erano sconosciute.
Allo stesso tempo, tramite il sistema prefigurato delle sue tecniche e il suo specifico lavoro di fotografa, mi sentivo libera di esprimermi senza giudizio, in un luogo idealmente “protetto”. Questo processo creativo può attuarsi perché osservando una foto, indagandola nel tentativo di coglierne i principi, arrivando a identificarci nel punto di vista dell’autore, riusciamo a dare ordine e sistema alle emozioni.
La foto ha il potere di oggettivare, sottomettere il mondo, sezionarlo, smontarlo e controllarlo. Così i ritratti di Francesca Woodman mi hanno permesso di trovare parti di me stessa nascoste, ma che grazie a lei sono via via emerse.
Ecco la magia e il potere di una singola immagine!
Questo gesto semplice dell’imitare, del ripetere, è già rielaborare.
Rielaborare è raccontare una storia.
La tua.
Non è facile, mi dirai, interagire con fiducia con lo strumento fotografico, mettendosi a “nudo”, magari senza affidarsi a app, filtri o simili, e senza potersi vedere nello schermo, come può accadere quando si scatta un selfie.
Se vuoi metterti in gioco e vincere questi timori puoi aderire a #fotografiasostantivofemminile.
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L’ho ideato per aiutarti a sperimentare la pratica dell’autoritratto, che considero salvifica e a cui tutte noi possiamo appellarci quando abbiamo necessità di “ri-fiorire” (siamo pur sempre in attesa della primavera, no?)
Ogni mese su instagram e qui sul blog, ti parlerò di una fotografa e di alcune sue specificità tecniche, abbinando degli esercizi pratici per aiutarti a manifestare te stessa e la tua storia.
Non importa che tu abbia pregresse conoscenze fotografiche o che tu sappia produrre immagini tecnicamente corrette. Il processo creativo dell’ispirazione è puro istinto:
- guardo la foto
- la sento
- mi emoziona, non perché esteticamente significativa, ma per quanto essa mi può dare al fine di acquisire un nuovo sguardo sul mondo
- mi chiedo: “cosa mi colpisce?”
- resto in ascolto di ciò che emerge
- colto l’elemento (o più di uno) lo utilizzo per creare un mio autoritratto.
Il risultato sarà un lavoro diverso per ognuna di noi perché rielaborare è connettere con consapevolezza tutti gli stimoli che il mondo ci svela e che noi acquistiamo tramite le esperienze del nostro singolo quotidiano.
Ti aspetto!