Narciso si sporgeva sull’acqua per meglio contemplarsi, inventando l’idea dell’autoritratto
– M. François

Secondo uno studio, solo negli Stati Uniti, ogni due minuti si scattano più fotografie di quante se ne siano mai realizzate nell’intero XIX secolo. La modernità ha permesso a sempre più persone di avvicinarsi fotografia, trasformando la macchina fotografica e smartphone nel nuovo specchio, attraverso cui poter vedere se stessi.
Come ho già avuto modo di raccontarti qui, una delle tecniche che amo di più è l’autoritratto fotografico, perché permette a chi lo pratica di intraprendere un’indagine conoscitiva della propria identità.
Questo vale anche per il selfie? Se avrai la pazienza di seguire il mio discorso e leggere questo articolo, lo scoprirai!
CHE COS’È UN SELFIE?
Prima di risponderti vorrei fare un po’ di chiarezza, iniziando dal termine stesso di “selfie”.
Si tratta di un neologismo, utilizzato per la prima volta nel settembre 2002, da Nathan Hope, in un forum di discussione australiano (“Dr Karl Self-Serve Science Forum”). È solo nel 2013 che l’Oxford English Dictionarie, scegliendolo come parola dell’anno, ne dà una precisa definizione:
“si tratta di selfie (o selfy; plurale selfies) una fotografia di se stessi, solitamente con uno smartphone o una webcam con obiettivo frontale e possibilità di vedersi mentre ci si scatta, e che verrà divulgata tramite i social”.
Il selfie più popolare, almeno a livello di condivisioni, risale al marzo 2014, quando l’attrice e conduttrice statunitense Ellen DeGeneres ha pubblicato un autoscatto in compagnia di alcuni protagonisti della notte degli Oscar.
Vorrei farti notare come nella definizione stessa di selfie venga sottolineato il fatto che sia pensato per essere diffuso tramite piattaforme online.
Non vi è nulla di strano: gli stessi social, richiedendoci foto profilo aggiornate e sempre nuovi contenuti, ci spingano a pubblicare la nostra immagine, anche quando non è finalizzata ad una strategia di personal branding.
Questo porta ad una emblematica distorsione ottica – oggetto dello studio “The Selfie Paradox” pubblicato su Frontiers in Psychology – che ci rende più propensi a considerare gli autoscatti altrui come “auto promozione”, e, molto meno, ad ammettere lo stesso nei confronti dei nostri selfie.
Esiste un’enorme distanza tra ciò che desideriamo comunicare con un selfie – ovvero come vorremmo che gli altri ci vedessero – e ciò che effettivamente viene percepito da chi lo osserva.
Per colmare questo distacco, il mio consiglio consiste in una (gentile) presa di coscienza: ovvero che la condivisione pubblica di un autoscatto è in buona parte una messinscena per compiacere il proprio ego.
Selfie come strumento di narcisismo primario
Utilizziamo il selfie voyeristicamente, non tanto come strumento di connessione, per tessere un dialogo con l’altro, quanto per attirarne l’attenzione. Calcoliamo valore e peso specifico della “nostra performance visiva” in base alla contemporanea moneta di scambio: le interazioni (like, condivisioni, salvataggi che siano).
Quel che ne deriva è un senso di onnipotenza, di controllo e di tutta una serie di sintomi riconducibili a quello che Freud chiama il “narcisismo fetale primario” del bambino, che rivolge esclusivamente a se stesso la propria libido.
Che lo schermo dello smartphone sia in grado di proteggerci, come ci ha protetto in origine la placenta della madre, è una delle più grandi illusorie seduzioni della “società social”.
La fotografia in rete diventa così una pulsione esigente, producendo una sovrabbondanza di materiale visivo, con funzione di protesi che, paradossalmente, va ad amplificare le mancanze del nostro apparato psichico, piuttosto che colmarle.
Non voglio demonizzare totalmente il selfie, perché se usato con parsimonia e consapevolezza, può creare un collegamento con gli altri, può comunque fornire una funzione utile e non scaturire nel patologico, ma se hai mai realizzato un selfie e un autoritratto in vita tua, sai benissimo qual è la differenza, è quello che ha provato la tua anima mentre scattavi uno e l’altro, è il motivo per cui hai realizzato uno e l’altro.
questo è l’esempio di un selfie che ho condiviso sul mio profilo facebook personale, un giorno qualunque, per comunicare una cosa divertente ai miei contatti e amici

PERCHE IL SELFIE NON È AUTORITRATTO?
Torno alla domanda iniziale: il selfie ha gli stessi attributi dell’autoritratto?
Il primo è il racconto quotidiano del nostro apparire.
Il secondo un diario intimo del nostro essere.
Ne deriva che selfie e autoritratto siano due cose completamente differenti. Per prima cosa, va detto che, anche se spesso non ne abbiamo consapevolezza, il selfie mette a nudo la nostra propensione a condividere un momento intimo (racconta di noi in un certo luogo, impegnati a fare una certa cosa, con determinate persone) allo scopo di mostrarlo al mondo.
Con l’avvento della fotografia digitale, infatti, sembra essere cambiata la stessa funzione delle foto personali scattate durante la vita quotidiana: da semplici ricordo di un avvenimento a testimonianza di una presenza e occasione di comunicazione (illusoria) con gli altri.
Se l’autoritratto è un strumento di indagine in divenire, in quanto raccoglie la nostra storia e crea la nostra identità, in una riformulazione continua dell’essere, rendendoci “eterni”, il selfie è, all’opposto, uno strumento “usa e getta”.
Dopo averlo scattato, esso ha concluso il suo compito e noi siamo nuovamente pronti, già in posa, per l’autoscatto successivo.
Per esperienza personale, posso ricordare ancora con esatta commozione la scoperta del potere dell’autoritratto, per l’importanza che ha avuto nel mio percorso di evoluzione come persona, prima, e come fotografa, dopo, ma non sono certa di poter collocare con la stessa precisione temporale il primo selfie che mi sono scattata.
Questo qui sotto è un autoritratto, anche se semplice, è molto diverso dal selfie che ti ho mostrato prima. Qui il dialogo in corso era solo con me stessa. Non saprai mai perché, in che condizioni ho scattato questo autoritratto e per cosa ero profondamente grata…ma sono sicura che riesci a percepire le differenze rispetto al selfie di prima.

LO SPECCHIO COME PORTALE DI POSSIBILITÀ
La seconda importante differenza tra autoritratto e autoscatto va ricercata in una questione di tecnica, nell’obiettivo frontale e nel programma che permette di vedersi mentre ci si scatta.
Sembra poco, penserai, ma in realtà è fondamentale la scoperta che permette di autoritrarsi mentre ci si guarda nello schermo, con una corretta inquadratura, una buona messa a fuoco e una distanza fissa, quella della lunghezza del braccio (o del bastone da selfie).
Anche per lo sviluppo dell’autoritratto fu determinate il perfezionamento dello specchio.
Ma in questo caso, lo specchio, se obbedisce sì alle leggi dell’ottica, mostrandoci lo stato fisico delle cose, è anche in grado di divenire un portale d’accesso oltre la sfera del visibile, verso quel potenziale di unicità custodito dentro di noi. Uno strumento che, nei primordi dell’evoluzione fotografica, offrì agli artisti nuove possibilità nell’esplorazione del proprio corpo.
Ora non è più lo specchio, ma sono le impostazioni predefinite, filtri e app a determinare i termini visivi attraverso i quale specchiarci.
“Narciso si sporgeva sull’acqua per meglio contemplarsi, inventando l’idea dell’autoritratto”, scrive M. François Brunet nell’introduzione al volume “Autoritratti”, ma con il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale le opportunità si sono ulteriormente estese, permettendo non solo di ritrarsi, ma anche di condividere le immagini tramite i social network.
SELF GODDESS PORTAIT
Talvolta ci modelliamo sulle attese degli altri.
Assumiamo la maschera che la società ci richiede, fino al punto in cui questa prende il sopravvento, inibendo il nostro comportamento.
Forse conosci bene questa esperienza.
Forse l’hai sperimentata proprio quando hai pensato che fosse tuo dovere scattare quel selfie da condividere tramite social, per emulare quello che io chiamo il “modello della maggioranza”.
In casi come questi, l’autoritratto può essere una pratica salvifica, la mappa da seguire per “tornare a casa”, al fine di recuperare quei pezzi dell’anima perduti nel ricoprire le varie maschere che nella vita abbiamo assunto via via.
Credo che ognuno di noi abbia dentro di sé un mondo inestimabile, che vada coltivato, e, se vuoi scoprirlo anche tu, o imparare a manifestarlo, ti consiglio di intraprendere il mio percorso online Self Goddess Portrait.
Come viandanti percorreremo insieme la strada che può aiutarti a riconnetterti con il tuo interiore.
È un percorso che ho creato con consapevolezza e con tecniche particolari, anzi, come piace definirle a me “sciamaniche”.
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