Quando dovetti scegliere quale università fare ero indecisa tra architettura e psicologia.
Scelsi architettura.
Ne sono grata, perché ora so che psicologia non era certo la mia università e forse non avrei così iniziato quel percorso che mi ha fatto arrivare ad essere ciò che veramente volevo essere: “una creatrice di immagini”. Nel senso pragmatico del termine.
Certo, più vado avanti nel mio lavoro, più mi accorgo di quanto le immagini che creo siano collegate alla psiche, perché del resto la passione per il “comprendere l’essere umano” non mi è mai passata, ha solo trovato il modo più congeniale a me per esprimersi.

In questo post vorrei farti capire perché ho scelto di portare avanti un’idea come quella del “Goddess Portrait” e cosa unisce archetipo, immagine e le figure delle Dee.

 

“La psicoterapia ha un profondo bisogno di immaginazione. Soprattutto ha bisogno di porre l’immaginazione in rapporto con il processo che conduce alla guarigione. Questo implica di pensare allo psicologo come creatore di immagini”
Rafael Lopez Pedraza, “Hermes e i suoi figli”

Che cos’è l’archetipo?

L’archetipo deriva dal greco ὰρχέτυπος “arché” ed è un’immagine mutevole che narra contenuti fissi, ovvero un modello primitivo, secondo Jung un’idea innata.

Che cos’è la psicologia archetipica?

“La psicologia archetipica non è una psicologia degli archetipi. La sua attività primaria non consiste nel far corrispondere temi della mitologia e dell’arte ad analoghi temi della vita. L’idea è piuttosto di vedere come mito e come poesia ogni frammento della vita e ogni sogno.”
Thomas Moore, introduzione a “Fuochi Blu”, di James Hillman

Quando lessi queste parole avevo già fondato il mio mantra “fai dell’ordinario una poesia” e quasi mi vennero le lacrime agli occhi, perché era come se qualcuno fosse riuscito a spiegare meglio, molto meglio, esattamente quello che avevo in mente.

Hillman crede in una “base poetica della mente” che collega indissolubilmente psicologia ed estetica, così come indagare se stessi ed immaginarsi.
Significa mettere a fuoco [l’espressione non è casuale] ogni cosa con una visione poetica, rivelandone le profondità.
Personalmente credo che non vi sia mezzo migliore per fare ciò, che la macchina fotografica.
Sicuramente questo è quello che voglio fare io con la mia fotografia, che vuole essere, come il lavoro archetipale, un lavoro alchemico di estrazione e selezione per ricavare immagini, che fanno emergere la tua ricchezza o il senso di una particolare esperienza della tua vita.

L’importanza del “mito” in tutto ciò è fondamentale. Il mito ha una profondità arcaica e può aiutarci a vedere sotto una “dimensione mitica” tutta la nostra vita.
Qui perdersi è facile.
Ciò non vuol dire “far aderire” la propria vita ad una storia mitologica, ma trovare il proprio mito nella propria vita.
Per esempio, nel caso specifico del ritratto Goddess Portrait, in cui conoscerai i miti delle Dee e le loro storie, ciò non vuol dire analizzare la storia di Atena cercandovi dentro la tua, ma dovrai guardare la tua e comprenderne gli aspetti mitici, la cui essenza è quella vissuta dal mito di Atena.

Hillman è a favore di un “politeismo psicologico”, ovvero, del fatto che in ognuno di noi convivano più archetipi (nel nostro caso Dee), che a volte sono in armonia, altre in conflitto. Il nostro compito è sempre quello di non schierarci dalla parte di nessuna di queste “persone/Dee”, ma di mantenere la neutralità necessaria anche rispetto al quelle figure che al nostro io non piacciono.
Questo è l’obiettivo finale del servizio Goddess Portrait, portare in equilibrio le Dee dentro di te, attraverso la manifestazione di una Dea assopita o il freno di una troppo attiva.
L’equilibrio a cui mi riferisco è un equilibrio però di tensione energetica, in cui l’Io può accettarsi ed evolvere.

“Un io rilassato, che rende onore ai molti, offre notevoli vantaggi. Nella tensione troviamo vitalità, dal paradosso traiamo insegnamenti, camminando sul filo dell’ambivalenza acquistiamo in saggezza e, nel dare fiducia alla confusione che sempre la molteplicità ingenera, acquistiamo confidenza in noi stessi. Segno di una vita infusa di anima sono la ricchezza della trama e la complessità. I complessi dell’anima, dunque, non vanno stirati come fossero pieghe, perché, anzi, sono la stoffa dell’umana complessità. Hillman ci invita, prima di cercare di risolvere un conflitto, a esaminare la nostra fede nella conflittualità. In ogni conflitto si nasconde di solito un segreto eroismo che gode a lottare o un martire segreto che chiede di essere squartato. In una visione politeistica della psiche, i conflitti non sembrano più così decisivi. Dall’inizio, l’intento del politeismo è di rendere onore a tutte le parti: l’idea non è di conquistare o di essere conquistati e non esiste un capo, gerarchico e unitario.Nel contesto politeistico la virtù non sta nell’essere integrati, nell’avere un centro, ma nell’essere flessibili, accoglienti, tolleranti, pazienti e complessi. Le varietà dell’esperienza non devono essere armonizzate a tutti i costi. Equilibrio, integrazione e totalità, valori così importanti in una psicologia monoteistica, non trovano spazio nel politeismo, che richiede un estendersi del cuore e dell’immaginazione. L’anima politeistica ha una tessitura ricca e ricchezza di temi. Presenta molte qualità caratteriali ed è il teatro dove vengono messe in scena molte storie, dove si rispecchiano molti sogni.”
Thomas Moore, introduzione a Fuochi Blu

La psicologia archetipale, le immagini e il ritratto fotografico

“l’immagine è psiche” C. Jung

Hillman sostiene spesso che il mondo occidentale abbia perduto il senso dell’immaginale, la capacità di immaginare e, con questo, la propria anima. Per James Hillman “Archetipico” significa “fondamentalmente immaginale” ecco perché mi viene spontaneo collegarlo alla macchina fotografica, che è a me il più congeniale “strumento immaginale”.

Per Hillman è di primaria importanza “aderire all’immagine”: con questa esortazione, tesa alla salvaguardia dell’immagine stessa come fenomeno psichico, vuol intendere che non bisogna tradurre le immagini in significati perché l’immagine, secondo lui, non è né una metafora, né un simbolo ed è inesauribile nella sua potenzialità di significato.

Ecco perché durante il servizio fotografico Goddess Portrait, pianificheremo ben poco prima, ma durante il servizio lasceremo parlare l’istinto.

Hillman parla di “immagini che ci definiscono” e sostiene che ciascuno è portatore di immagini-chiave (archetipi), che costellano il suo personale processo di individuazione. Jung d’altro canto proponeva un’immaginazione attiva, in cui le immagini sono la realtà dell’inconscio e quindi frequentare le immagini interne pone in contatto con le forze inconsce che plasmano il percorso individuativo.

Ecco, il percorso precedente il servizio fotografico Goddess Portrait, soprattutto attraverso le visualizzazioni curate da Giada, punta a “farti immaginare”, a farti uscire a prendere un caffè con quelle immagini che avevi dimenticato di poter immaginare (mi scuso per il gioco di parole, ma un sinonimo non avrebbe reso).
Punta a farti riscoprire quelle Dee che non sapevi di avere dentro di te.
Il mio compito poi sarà di trasformare quelle visioni in fotografie.

Le immagini hanno il potere di rappresentazione e di trasformazione che è proprio del simbolo, gli antichi le consideravano addirittura “pharmacon”.
Sono qualcosa che ci trasforma.
Hillman in “le storie che curano” sottolinea che l’immaginazione è la “prima materia” alchemica delle storie.
Le immagini sono ciò di cui sono intessute le storie, individuali e collettive.
Delineano il disegno esistenziale, configurano il senso del nostro essere-nel mondo, abitarlo.
Ecco perché consiglio a tutte di stampare almeno una foto del servizio Goddess Portrait, perché questa sia un simbolo, un'”imago”, concreta e possa far partire, ogni volta che la riguardate, l’immaginazione verso ciò che per voi rappresenta.

Perché ho scelto gli archetipi delle Dee?

Ho già lavorato con gli archetipi, nel mio libro “Style, styling, storytelling” che a breve tornerà disponibile revisionato, partivo da quelli Junghiani.
Questa volta ho deciso di lavorare specificatamente con gli archetipi delle Dee, perché ho ritrovato nella rilettura del libro “Le Dee dentro la Donna” di J. S. Bolen, una forza nuova, che credo possiamo sfruttare tutte noi donne per rinascere in quello che sembra un clima di nuovo femminismo e far sì che questa sia la volta buona perché la forza della donna venga presa in considerazione da tutti ad alta voce, che sia il momento buono che le cose cambino davvero, per sempre.
Le storie che racconto anche se sono personali, hanno sempre per me valenza collettiva.
Faccio il lavoro più personale del mondo, eppure, non mi sento partecipe di un movimento intero.

Approfondimenti:

Se ti interessa l’argomento e vorresti approfondire questi sono i libri che ti consiglio:
di C. G. Jung: “Gli archetipi dell’inconscio collettivo”“L’analisi dei sogni-gli archetipi dell’inconscio-la sincronicità”, “Tipi psicologici”, “Opere vol. 9/1: gli archetipi e l’inconscio collettivo”
di J. Hillman: “Fuochi Blu”, “Il nuovo politeismo, la rinascita delle Dee e degli Dei”
di J. S. Bolen: “Le Dee dentro alla Donna”